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Tutti fratelli non significa tutti uguali

Sono possibili molti fraintendimenti  dell’enciclica fratelli tutti. Uno di questi, oggi diffusissimo, è lo slittamento dal tutti fratelli al tutti uguali. Cioè dalla fratellanza universale ad un piatto ugualitarismo. Fratellanza, si dice, è lasciare che ognuno sia se stesso, faccia le sue scelte, senza giudicare nessuno, perché se giudichi, non saresti più un fratello, ma uno che discrimina gli altri. In buona sostanza un razzista.  Uguali, dunque, non sarebbero solo le persone, e questo evidentemente è sacrosanto,  ma anche le idee, e le azioni che ne derivano. Un’omologazione strisciante delle idee e dei comportamenti, che Papa Benedetto chiamava “relativismo” e Papa Francesco chiama “Pensiero unico”. Tutte le idee sarebbero ugualmente vere e tutti i comportamenti sarebbero ugualmente buoni. Talvolta questa omologazione è talmente pacchiana nella sua inverosimilità da suscitare subito una reazione di contrasto ugualmente piccata: ad esempio non ce la facciamo proprio a dire che un’opinione è uguale alle altre, nel caso dei “terrapiattisti” o dei “negazionisti”(se poi il negazionismo cagiona danno a qualcuno, vedi i “no vax”, diventa materia anche da codice penale). Mentre l’ugualitarismo è di casa, e la fa da padrone incontrastato, sul terreno delle scelte individuali, particolarmente quelle attinenti alla sfera della sessualità. Qui sembra assolutamente vietato obiettare alcunchè. Per un curioso pendolarismo della storia , se un tempo i costumi sessuali erano il luogo di una normazione severissima e perfino eccessiva, oggi sono diventati la riserva del “liberi tutti”.  E se uno si azzarda ad accampare un ragionamento, per quanto molto garbato e rispettoso, sul “senso”, o la “verità”, o il “valore”, tempo zero e si vede scaricata addosso la patente del crudele vittimizzatore degli altri: “tu mi stai giudicando”! Con tanto di citazione evangelica “Non giudicare!”, che in verità in questa circostanza non c’entra proprio niente, giacché il vangelo vieta la condanna delle persone – come nella scena di Giovanni cap. 8: l’adultera che i dottori della legge volevano lapidare- ma non certo il giudizio su azioni e comportamenti (proprio la scena del cap.8 di Giovanni lo mostra).  Insomma la celebre distinzione tra “errore” da condannare e “errante” da amare così chiaramente indicata da San Giovanni  XXIII nella Pacem in terris, sembra diventata completamente incomprensibile per l’egualitarista del nostro tempo.  Il nessuno mi può giudicare trasla poi con grande facilità dalla sessualità pre-matrimoniale al tradimento coniugale, all’interruzione volontaria di gravidanza fino alle più impegnative questioni dell’omosessualità e della transessualità. Guardate il dibattito sulla legge Zan contro la discriminazione omo-trans-fobica: sul “tutti uguali”, nel campo dell’orientamento sessuale e della scelta di genere,  vige oggi un consenso unanime, plebiscitario; e il tentativo di distinguere, per chi ancora si azzarda a farlo diventa quantomeno sospetto, se non criminale.  Sarà anche per questo che, nelle ipotesi del governo Conte, ci sono  3,9 miliardi di fondi europei da destinare alla sanità e quasi cinque volte di più quelli destinati all’attuazione della parità di genere?     Insomma c’è oggi un “mantra” egualitario che sta invadendo la piazza pubblica come un’alluvione, e colonizza le coscienze. Sfidarlo con un’ipotesi  sul “senso” e sulla “verità” delle cose appare oggi una follia da medioevo o un crimine da codice penale. Nietzsche, nella sua consueta e lucida follia, lo aveva profetizzato: “tutti vogliono le stesse cose,  tutti sono uguali, chi dissente  è da manicomio…ci si bisticcia ancora ma si fa pace presto, per non guastare lo stomaco”. (Così parlo Zarathustra). Eppure si tratta di una sfida da raccogliere, Con molta umiltà, ma da raccogliere.
Don Angelo RivaDa il Settimanale della diocesi di Como     

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