Nella chiesa di Sant’Antonio di Crebbio è conservato un dipinto, olio su tela, 150 per 130 cm, databile alla metà del secolo XVII. Non è un’opera di grande valore artistico, tuttavia ha più volte attirato l’attenzione di alcuni studiosi di storia locale. Infatti vi è raffigurato il territorio nel quale si trova questa parrocchia.
Nella parte inferiore del dipinto è ben distinguibile la chiesa di San Giorgio, che appare in tutto simile a come la vediamo oggi, se si eccettua la facciata dipinta di rosso. Questo particolare indica che il pittore si è attenuto alla realtà. Infatti negli atti della visita pastorale, compiuta nel 1582 dal vescovo di Como Gianantonio Volpi, si legge: “Per la chiesa di San Giorgio, vicinanza di Crebio, Lombrino, Zana e Magiana… la facciata si dipinghi a rosso e l’immagine di San Giorgio. Alla suddetta spesa concorrino li vicini di detti luoghi.” Dunque gli abitanti di Crebbio, da intendersi in senso proprio, avevano ancora il dovere di occuparsi della chiesa di San Giorgio, sebbene la loro frazione, con la chiesa di Santa Maria e Sant’Antonio, come allora veniva chiamata l’attuale parrocchiale, si fosse staccata da Mandello già nel 1495, entrando a far parte della nuova parrocchia di San Lorenzo sopr’Adda. Anche nella successiva visita pastorale del 1593, compiuta dal vescovo Feliciano Ninguarda, la chiesa di San Giorgio continua a essere messa in relazione con Crebbio oltre che con le altre frazioni rimaste con Mandello: “Visitata la capella di S.to Giorgio di Crebio et Magiana, membro parte dell’Arciprebenda et in parte della parrocchiale di S.to Lorenzo sopra Adda.” Il fatto che la chiesa di San Giorgio fosse considerata di competenza sia dell’arciprebenda, cioè dell’arciprete di Mandello, sia del parroco della parrocchia di Abbadia, credo dipenda dal fatto che il primo continuava ad officiare, come in precedenza, i funerali per quelli di Maggiana, Lombrino e Zana, mentre il parroco di Abbadia doveva provvedere per quelli di Crebbio. Che San Giorgio fosse il luogo di sepoltura per i defunti di tutte e quattro le frazioni soprastanti, viene ricordato nel nostro quadro da una croce che si può scorgere, anche se a fatica, nell’area antistante la facciata della chiesa. Solo dopo il 1621, quando fu costituita la parrocchia di Sant’Antonio, il cimitero di San Giorgio fu progressivamente abbandonato, come si può rilevare dal libro dei defunti conservato nell’archivio parrocchiale. Lasciando la chiesa di San Giorgio ed esaminando il dipinto nella parte più alta, si scorge, a sinistra di chi osserva, l’abitato di Maggiana con la sua torre medievale.
Non si riesce invece a distinguere, tra le case, la chiesa di San Rocco, la cui esistenza è peraltro ben documentata in epoca precedente, per esempio nel sopra citato documento della visita pastorale del 1593, dove se ne dà una sommaria descrizione. Essa aveva una copertura a capriate lignee ed era sprovvista di campanile. Vi era solo “una campanella sopra un arco del tetto”. Ed è questo, io penso, il motivo per il quale l’edificio non risulta evidenziato. Al centro della tela, isolata da ogni abitazione, si vede la chiesa di Sant’Antonio. Vi è pure rappresentato il Santo titolare con le sue caratteristiche insegne: il fuoco e il bastone ricurvo a cui è appesa una campanella.
L’aspetto di questo edificio ci indica che il quadro, di cui ci stiamo occupando, è posteriore alle trasformazioni strutturali attuate negli anni nei quali resse la parrocchia il sacerdote don Rocco Alippi, dal 1625 al 1664. In quel periodo fu innalzata la volta della navata, come la vediamo oggi, fu rifatta quella del presbiterio e furono aggiunte le cappelle laterali almeno nella loro struttura muraria. Durante questi lavori di ristrutturazione andarono distrutti alcuni antichi dipinti dei quali era dotata la chiesa. Il documento del 1593 si limita a ricordare che sulla volta del presbiterio esistevano “pitture assai belle” definite però di fattura piuttosto recente. Gli affreschi della chiesa di San Giorgio invece sono giunti fino a noi perché quell’edificio, lasciato quasi in completo abbandono dopo l’erezione della parrocchia di Sant’Antonio nel 1621, non subì le trasformazioni murarie secondo i canoni estetici dell’epoca barocca. Un vescovo del secolo XVIII in visita pastorale li definì ridicoli, ma si limitò a richiedere che venissero almeno in parte ricoperti da uno strato di calce. A lato della chiesa parrocchiale, sulla destra di chi osserva il quadro, è raffigurato l’abitato di Crebbio, anch’esso dotato di torre di dimensioni più modeste rispetto a quella di Maggiana. Sopra la chiesa si scopre Lombrino e più in basso, appena abbozzate, le poche case di Zana. La mancanza della casa parrocchiale indica che il quadro fu realizzato prima del 1672, data che il parroco Giovanni Pietro Ticerio (1665-1695) pone in una sua annotazione.
Dopo aver ricordato che in precedenza “il parroco hora stava a Maggiana, hora a Zanna”, mancando la casa parrocchiale, aggiunge che questa fu costruita in seguito al lascito compiuto “da una pia donna di nome Armellina De Conti figlia q. (del fu) Santino di Zanna.” E aggiunge: “Così per beneficio fatto da questa pia donna ho voluto io Curato P. (prete) Giò Pietro Ticerio della Parrocchiale Chiesa di S.to Antonio sopra Mandello farne questa memoria acciò serva alla posterità.” Non possiamo lasciare il nostro dipinto senza notare che, nel paesaggio, il committente, forse il parroco Rocco Alippi, ha voluto inserire elementi che si riferiscono alla festa di Natale. Alla sommità del monte che sovrasta il nostro abitato, un angelo, circondato da nuvole, tiene tra le mani un cartiglio con l’iscrizione: “Gloria in Altissimis Deo”. Sopra Maggiana, nella località denominata Mass, un altro angelo, in volo, plana sopra un gregge di pecore. Evidente è il richiamo a Luca 2, 8-14, dove si ricorda l’annuncio della nascita di Gesù portato ai pastori di Betlemme. Dallo Zucco della Rocca, molto bene evidenziato, scendono vari personaggi. Tre di loro stanno in groppa a strane cavalcature che dovrebbero essere cammelli. La scia luminosa di una stella cometa, tracciata nel cielo, allude senza dubbio ai Magi venuti da oriente per adorare il neonato Re dei Giudei (Matteo 2, 1-2). Questo curioso particolare doveva avere un fondamento nella tradizione popolare già presente all’epoca in cui fu composto il dipinto: qualche anziano ricordava che al tempo della sua infanzia, quando non si parlava ancora di Babbo Natale e tanto meno di Befana, la vigilia dell’Epifania, egli aspettava l’arrivo dei Re Magi che sarebbero discesi proprio dallo Zucco della Rocca per portare i doni. Già pareva di ascoltare il tintinnio dei sonagli delle cavalcature; occorreva perciò preparare un po’ di fieno da collocare sul davanzale e andare a letto presto, se si volevano trovare, il mattino seguente, i doni nella cesta: un po’ di frutta secca, qualche matita, qualche quaderno e cose simili.
Nulla in confronto a quanto viene regalato ai bambini di oggi, ma non è detto che questi ultimi siano più contenti di quelli di allora….
Don Mario
fu Parroco della Parrocchia di Sant’Antonio di Crebbio