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Memoria dei Santi Protettori

ciborioIl nostro altare, col ciborio alto m. 3,20, rappresenta la sintesi di secolari concezioni, riprese finanche nei colori dell’azzurro e dell’oro, distintivi del cielo temporale e di quello paradisiaco dell’eterno.
L’ “L’imago Pietatis”, cioè del Cristo sofferente sopra il sepolcro è riportata sopra il tabernacolo. Ai suoi lati, nel primo piano della torre, stavano in nicchie le statuette di San Francesco ostendente le stimmate e di San Filippo Benizi fondatore del Convento dei Serviti, raffigurati pure nella tela da poco restaurata; le ali laterali recano invece S. Antonio abate, cui era dedicato in antico un altare, e un altro santo, Martino o Bartolomeo.
Nel secondo piano, Eurosia e Caterina d’Alessandria, con la ruota del martirio, affiancano la figura centrale dell’Immacolata. I Santi che circondano il risorto sono elementi di imitazione ma anche tramiti della supplica a Dio. E’ perciò privilegiata la presenza della Vergine, che precorre il futuro dell’umanità (anche se la festa dell’Immacolata verrà stabilita solo nel 1708). Al di sopra della balaustrina intervallata dagli angeli che recano i segni della Passione (lancia, colonna, croce e spugna), l’apparato costruttivo e concettuale si riassume nel Cristo risorto. Sui piedistalli laterali, due Angeli ceroferari alti un metro confermano la luce che emana dal simbolico paradiso. Al di là quindi della “macchina” barocca e della sua meraviglia scultorea, i concetti sono ancora oggi comprensibili. L’elemento decorativo diventa quindi un valore, anche nei termini artistici, dove un oscuro artefice, probabilmente locale (e ricordiamo proprio a Mandello l’abile intagliatore Francesco Micheli – dal diffuso cognome anche abbadiese – che scolpì Crocefisso e architrave nel 1677-1678) raggiunge importanti effetti espressivi, nel realismo delle statuine, nelle colonnine tortili, nei timpani spezzati, nei fregi, nei mascheroni diabolici calpestati in basso dagli angioli: tutto segno dei complessi moti dell’animo dei nostri antenati del Seicento, che in modo particolarmente intenso alternavano slanci e dubbi verso l’intuizione sensibile dell’infinito.
Fonte: Angelo Borghi da ‘Abbadia Oggi’
Anno VI- N. 6 – 21 Novembre 1987

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