off

Da un migrante di colore una bella lezione di civiltà

FasaniIn ‘Verona fedele’, il Settimanale della Diocesi di Verona ho trovato un racconto di Mons.  Bruno Fasani che conosciamo e che avremo il privilegio di avere con noi per festeggiare San Lorenzo il Patrono principale della nostra Parrocchia insieme ai Diaconi della nostra Diocesi (Lorenzo fu arcidiacono di Roma). In treno verso Milano si è imbattuto in un gruppetto di studenti maturandi. “Parlano di come sono andati gli scritti, delle preoccupazioni per gli esami. Della commissione e del professore che hanno già individuato essere l’anello debole o il più carogna. Ricordano il nome dei compagni che inizieranno gli orali per primi e di quelli che avranno l’ultimo turno, restando sui libri a boccheggiare al caldo più degli altri. Osservo questi ragazzi e li ascolto, mentre rivivo emozioni comuni agli studenti di tutti i tempi. Tra loro noto un ragazzo di colore, seduto tra due ragazzi italiani. Ha una faccia pulita, da bravo ragazzo. In un attimo alza lo sguardo e mi nota. Nemmeno il tempo di un pensiero riflesso che già è in piedi: «Prego, si accomodi», mi dice, accompagnando il gesto con un sorriso spontaneo e cordiale. Rimango basito. Non tanto perché qualcuno ha proclamato pubblicamente la mia anagrafe, ma perché non avevo mai visto prima qualcosa di analogo. Nemmeno da parte di quelle mamme che viaggiano col bambino piccolo e si guardano bene dal tenere il marmocchio sulle ginocchia, preferendo trastullarlo sul sedile accanto a loro. Ringrazio il giovane studente e gli chiedo se sia nato in Italia, considerato anche il suo ottimo italiano. Mi risponde che arriva dall’Etiopia e che è qui da quattro anni. Mi viene spontaneo elogiarlo e dirgli che ci voleva un ragazzo straniero e di colore per farmi vivere un gesto di civiltà, cui non ero più abituato. «È normale fare così con le persone più grandi di noi. Al mio Paese ci hanno insegnato a fare così». Noto la finezza di quel “più grandi”. Non sei censito né come vecchio, né come anziano, giusto per dire che il rispetto non si da o si toglie in base alle categorie sociali di appartenenza, ma è dovuto al fatto che sei nato prima. Un prima, dove il vissuto ha sedimentato esperienza, fatiche, responsabilità di cui gode chi viene dopo. Macino questi pensieri quando anche i due compagni di viaggio del giovane etiope si alzano in piedi cedendo il posto a persone più grandi. Sono immerso in me stesso e penso alla frase detta poco prima: al mio Paese ci hanno insegnato così. Tra le mani ho un giornale, i cui titoli parlano di migranti, di risse tra partiti, di discorsi al vetriolo, di Fornero e Jobs Act. E non trovo traccia di valori e riferimenti ad una identità morale condivisa da cui partire per rimettere in piedi l’Italia. Quelli devo impararli da un etiope, migrante portatore di civiltà”.

L'autore